Paziente positivo per più di settanta giorni viene dimesso, ma i tamponi parlano chiaro. È sempre risultato positivo – durante l’isolamento nel reparto di Malattie Infettive del Moscati – e sebbene un test lo avesse identificato come “indeterminato”, una sorta di limbo alle lenti microbiologiche, nei tamponi precedenti era positivo. Nonostante ciò ha fatto ritorno al proprio domicilio. Questa prassi non è del tutto errata, se al paziente viene chiarita l’aderenza obbligatoria all’isolamento domiciliare. A causa però di un improvviso attacco cardiaco il paziente sulla sessantina, è stato sottoposto a rivascolarizzazione miocardica. L’intervento d’urgenza avveniva presso una struttura privata convenzionata che, come da indicazioni regionali, ha eseguito il tampone solo successivamente all’intervento.

Ciò è possibile in quanto le operazioni chirurgiche in urgenza/emergenza prevedono che il paziente venga trattato come se fosse affetto da Covid e che dopo venga eseguito il tampone per un’adeguata collocazione, per evitare quindi che, a contatto con altri degenti, possa trasmettere l’infezione. Il tampone nella struttura conferma la sua positività al virus SARS-CoV2, ma una volta superata la criticità miocardica, il paziente viene affidato alle cure dell’Uoc di Cardiologia del Santissima Annunziata. Lì, un nuovo tampone con il medesimo risultato: è positivo. A quel punto il paziente è stato posto in isolamento nel reparto di terapia intensiva cardiologica.

Per ragioni precauzionali sarebbe stato opportuno il suo trasferimento dopo l’intervento avvenuto nella struttura privata, nel Mini-Covid approntato al Moscati. Avrebbe dovuto fare ritorno in una delle tre aree che compongono il modulo dell’Asl recentemente consegnato alla presenza del presidente Michele Emiliano. Che in più di settanta giorni non fosse riuscito a negativizzarsi non è fatto insolito e non è questo l’elemento che desta preoccupazione, quanto il mancato utilizzo della struttura anche post-Covid a Mottola prima di essere rispedito a casa, struttura che è stata repentinamente smantellata e che si presentava come l’ideale proseguimento in fase post-acuzie.

Ci sono stati diversi casi che dall’inizio della pandemia l’hanno occupata per moltissimi giorni. La Gazzetta aveva accolto lo sfogo di una madre che non vedeva la figlia da due mesi. Eppure, i ricoveri a Mottola che portavano inevitabilmente a permanenze molto lunghe fino alla negativizzazione, erano parte di un piano integrato di assistenza dei pazienti Covid. Questo virus di cui ancora non si conoscono tutte le sfaccettature rimane subdolo e impone cautela nel trattamento di coloro i quali hanno vissuto un periodo di ospedalizzazione. Certo è che un positivo ricoverato dovrebbe seguire un percorso differente e più sorvegliato prima di essere ricondotto a domicilio.