Restano in comunità i due minorenni coinvolti nelle violenze e vessazioni che lo scorso 23 aprile hanno portato alla morte un pensionato disabile di Manduria (Taranto), Antonio Stano di 66 anni. Lo ha deciso la Cassazione che ha dichiarato inammissibile il ricorso dei legali dei due minori contro il collocamento in comunità, deciso dal Tribunale del riesame di Taranto lo scorso 16 luglio.

È iniziato davanti al gup di Taranto Vilma Gilli il processo con rito abbreviato a carico di tre maggiorenni (Gregorio Lamusta, Antonio Spadavecchia e Vincenzo Mazza) coinvolti nell’inchiesta sulla morte di Antonio Cosimo Stano, il pensionato di 66 anni di Manduria deceduto il 23 aprile dopo una serie di aggressioni (i cui video venivano rilanciati su whatsapp) da parte di più gruppi di giovani.

I tre imputati, assistiti dagli avvocati Armando Pasanisi, Lorenzo Bullo e Franz Pesare, rispondono di tortura aggravata dalla sopraggiunta morte, violazione di domicilio, sequestro di persona, lesioni personali, percosse, molestie e furto. In procedimenti separati, per tredici minorenni (due nel processo ordinario e undici nel processo con l’abbreviato), era stata già chiesta dai legali difensori la messa alla prova.

L’udienza per i tre maggiorenni è stata aggiornata al 13 novembre. Prima dell’avvio della discussione delle parti (requisitoria dell’accusa e arringhe della difesa) il pm Remo Epifani intende ascoltare tutti i consulenti dell’accusa e del collegio difensivo chiamati a esprimere le proprie valutazioni sulle cause della morte del pensionato. Secondo la consulenza tecnica degli inquirenti, le condotte addebitate agli imputati rappresentano «una concausa nella comparsa della patologia di cui era affetto l’uomo, ulcera duodenale, favorendone peraltro il tardivo ricovero in ambiente ospedaliero, avendo ingenerato in lui un atteggiamento di paura e chiusura di tipo negativo nei confronti dell’ambiente esterno». Erano stati gli stessi difensori a condizionare la scelta del rito abbreviato all’ascolto dei consulenti di parte, che confutano la relazione dei consulenti dell’accusa.