A ogni milione di tonnellata di acciaio prodotta è legato il destino di mille lavoratori. Se si scende strutturalmente a 4 milioni il calcolo è presto fatto per uno stabilimento che oggi impiega 8.200 persone. E’ così che funziona a Taranto, raccontano i sindacati dei metalmeccanici al termine del tavolo con i ministri dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, e del Sud, Giuseppe Provenzano. Per ora non ci sono prese di posizione formali sullo scudo penale, sul taglio dell’attività e sui conseguenti esuberi. Ma è chiaro che ci sono «difficoltà» industriali, come è emerso dall’incontro tra la nuova ad di Arcelor Mittal, Lucia Morselli, e il titolare dello Sviluppo economico. Tuttavia, rassicura Patuanelli, «noi siamo intenzionati a garantire la continuità produttiva» e ad agire di conseguenza.

La siderurgia non si tocca, insomma. «Da nessuna parte è previsto un disimpegno del governo sul settore», scandisce il ministro dello Sviluppo. Tanto che non esclude di tornare sul tema delle immunità penali se necessario. Certo, ammette, «una norma specifica mi sembra evidente che non abbia una tenuta parlamentare». La possibilità starebbe in un intervento «di ampio respiro» che non riguardi solo l’ex Ilva.

D’altra parte i tavoli di crisi aziendale sono centinaia e non sembra più procastinabile un’iniziativa «organica» per “evitare, prevenire, limitare» i fallimenti. In un’intervista al Corriere della Sera Provenzano aveva portato come esempio “interessante» l’esperienza «della legge Florenge in Francia, che impone a un investitore che voglia dismettere un sito di trovare prima un acquirente e motivare le sue risposte». Già nei giorni scorsi erano emerse ipotesi del genere, inclusa la ‘golden power’. Ma non si tratta di un qualcosa che possa venir fuori domani. Invece lo scudo per Arcelor Mittal tra pochi giorni decadrà ufficialmente. Il decreto salva-imprese che lo aveva collegato alla realizzazione del Piano ambientale entro il 3 novembre deve essere convertito in legge. Patuanelli dice che «se necessario” si potrà valutare un norma che cancelli dubbi interpretativi senza fare riferimento all’ex Ilva. Un punto secondo i sindacati da non sottovalutare visto che le responsabilità penali si fanno sentire anche sulle fasce intermedie, fino sostengono «agli impiegati di settimo livello».

Su un punto Mise e metalmeccanici sono allineati, chiedono al gruppo eruoasiatico «il rispetto degli accordi» firmati poco più di un anno fa. L’azienda però, fa presente Patuanelli, negli incontri avuti non avrebbe esplicitato la volontà di ridurre produzione e organico, né avrebbe sollevato una questione sulle tutele legali.

Il nodo è l’acciaio. I sindacati riportano che la stessa Arcelor Mittal avrebbe spiegato «che perde 2 milioni di euro al giorno». Di fronte a ciò, per il segretario generale della Fim, Marco Bentivogli, tra due settimane «l’ad Morselli ha davanti due strade: consolidare la produzione di acciaio a 4 milione di tonnellate annue, che significa ridurre l’organico di 5 mila persone, o, dopo il pasticcio fatto al Senato sullo scudo legale, fare letteralmente le valige». E tra due settimane forse le scelte saranno chiare visto che il Mise si è impegnato a convocare, probabilmente tra l’11 e il 17 novembre, tutte le parti, quindi anche l’ad.

Intanto la preoccupazione tra i lavoratori non fa che salire. “Il Piano allo stato sta procedendo con forti battute d’arresto, non accettabili», denuncia la leader della Fiom, Francesca Re David.
«Arcelor Mittal è inadempiente, perché attualmente ci sono 1.400 lavoratori in cig da 26 settimane. Sono inadempienti perché avevano garantito la risalita produttiva a 6 milioni di tonnellate e ne stanno producendo a 4 milioni», dice il segretario generale Rocco Palombella. Per i sindacati il rischio è che nessuno si prenda le sue responsabilità e così facendo la fabbrica andrebbe a morire più o meno velocemente.

Patuanelli però garantisce che il «governo è compatto» nel considerare la siderurgia un asset imprescindibile. Parole che fanno chiarezza dopo le dichiarazioni fatte dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio Mario Turco su Taranto senza l’Ilva. Tra i Cinque Stelle però il tema continua a scaldare gli animi. Oggi era attesa al ministero una delegazione dei parlamentari pentastellati che però poi non si è manifestata, i sindacati non l’avrebbero ritenuta opportuna. «I vari Provenzano, Bellanova e compagnia bella sono, come sempre, privi di visione, lontani dai cittadini, troppo proni alle multinazionali», scrive in un post su Facebook l’ex ministro per il Sud e senatrice M5S Barbara Lezzi, prima firmataria dell’emendamento che ha fatto saltare lo scudo.

«Abbiamo appreso dalla stampa che oggi lei ha incontrato i segretari generali di Fim, Fiom e Uilm sul tema del gruppo ex Ilva. Riteniamo gravissimo che la scrivente organizzazione sindacale sia stata estromessa dalla delegazione». È quanto denuncia il segretario nazionale dell’Usb, Sergio Bellavita, in una nota inviata al ministro dello Sviluppo Economico Stefano Patuanelli, in cui annuncia che l’Unione sindacale di base ha proclamato lo sciopero di tutte le maestranze ArcelorMittal per l’intera giornata del 5 novembre con manifestazione sotto la sede del Mise.

«Le rammentiamo – aggiunge – che Usb ha un altissimo livello di rappresentatività nello stabilimento tarantino e più in generale nella città. Tale esclusione rappresenta una ulteriore ferita alla democrazia dentro e fuori i luoghi di lavoro». Bellavita sottolinea che «Usb ha partecipato in tutte le sedi formali, plenarie e ristrette, alla lunga contrattazione sulla cessione del gruppo ad ArcelorMittal e pertanto rivendica sia rispettato il diritto dei lavoratori alla rappresentanza. Reiteriamo quindi la richiesta di convocazione presso il suo ministero».