Le Fiamme Gialle del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Taranto hanno eseguito stamattina un’ordinanza di applicazione di misura interdittiva, emessa dal G.I.P. di Taranto su richiesta della Procura della Repubblica jonica, nei confronti di due fratelli indagati, con contestuale esecuzione di un decreto di sequestro preventivo di disponibilità finanziarie, quote societarie e beni immobili per circa 1 milione di euro.

I provvedimenti del G.I.P. del Tribunale di Taranto, Benedetto Ruberto, su proposta del Sostituto Procuratore della Repubblica Lucia Isceri, sono stati emessi al termine di una complessa ed articolata attività di indagine condotta da militari del Nucleo di Polizia Economico Finanziaria di Taranto relativa al fallimento di una nota emittente televisiva.

I reati contestati all’amministratore e al socio della fallita sono quelli di bancarotta fraudolenta patrimoniale e sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte.

La sentenza di fallimento è stata emessa su istanza della Procura di Taranto attesa l’irreversibile incapacità della società di far fronte ai propri debiti verso l’Erario.
Inoltre, erano sorti forti sospetti su alcune operazioni dagli amministratori nella fase pre-fallimentare, risultata particolarmente controversa soprattutto riguardo alle vicende dei lavoratori dipendenti nei cui confronti erano stati registrati ritardi nei pagamenti degli stipendi. Prima di essere dichiarata fallita la società aveva fatto richiesta di accesso all’istituto del concordato che consente di evitare il fallimento facendo fronte ai debiti secondo un piano di risanamento.

L’obiettivo era quello di bloccare le istanze di fallimento e prendere tempo per perfezionare la cessione del ramo d’azienda in cui far confluire gli asset positivi da salvare: le frequenze per la trasmissione e la possibilità di richiedere i contributi ministeriali destinati alle emittenti televisive, fondamentali per il sostentamento della società. Proprio questo l’aspetto focale. Infatti, presupposto per l’ottenimento del contributo è la regolarità contributiva e previdenziale rispetto ai lavoratori dipendenti.

La creazione di una good company avrebbe consentito di ripartire senza debiti, ammontanti a circa 5,5 milioni di euro, che sarebbero rimasti in capo alla bad company il cui destino era stato preordinatamente incanalato verso il fallimento. Sono state effettuate approfondite indagini che hanno portato alla comprensione del disegno criminoso posto in esser dai due fratelli e finalizzato ad ottenere dei contributi statali ammontanti a circa 1,5 milioni di euro.

Se la somma fosse stata erogata nei confronti della vecchia società, sarebbe stata prioritariamente destinata al pagamento dei debiti previdenziali e tributari. Lo stanziamento nei confronti della nuova società in bonis, invece, sarebbe stato libero da ogni vincolo con conseguente danno per lo Stato. L’intervento della Guardia di Finanza di Taranto, su delega della locale Procura della Repubblica, ha permesso al Ministero dello Sviluppo Economico di sospendere l’erogazione della somma, provvedimento avallato anche da un parere dell’Avvocatura dello Stato.

In sintesi, l’attività illecita è consistita nella distrazione delle risorse della fallita a favore di una nuova società (sempre riconducibile agli indagati) al fine di sottrarle alle procedure concorsuali.

In tal modo, inoltre, gli indagati hanno fraudolentemente sottratto risorse patrimoniali per il pagamento delle imposte dovute, sterilizzando ogni possibile azione di rivalsa dell’Erario.
Il quadro probatorio così delineato, in relazione ai reati ipotizzati ed alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, ha permesso al G.I.P. competente di disporre, per entrambi, la misura di interdizione del divieto di esercitare imprese e di ricoprire cariche in seno a queste per la durata di 12 mesi. E’ stato inoltre disposto il sequestro preventivo per equivalente fino al valore di circa 1 milione di euro, pari all’imposta fraudolentemente non versata.