È terminato dopo tre ore e mezzo il Consiglio dei Ministri seguito al tavolo tra governo e ArcelorMittal, a cui ieri pomeriggio hanno partecipato il patron di Mittal con il figlio, il premier Giuseppe Conte e i ministri Patuanelli, Gualtieri, Provenzano, Speranza, Bellanova, Catalfo, e il sottosegretario Mario Turco.

«Abbiamo subito anticipato ad ArcelorMittal che non riteniamo giustificate queste posizioni – ha affermato il premier Conte nella conferenza stampa dopo il Cdm – e il governo ha dichiarato la propria disponibilità per quel che riguarda l’immunità. È emerso chiaramente che non è lo scudo penale la causa del disimpegno di Mittal: l’azienda ci chiede 5000 esuberi, ed è inaccettabile». Il premier ha poi aggiunto che c’è la disponibilità a tenere aperta una finestra negoziale e ha invitato l’azienda a prendersi un paio di giorni per le decisioni.

«Nessuna nostra proposta è stata accettata da Mittal. Come primo punto ho posto come prima questione il tema dello scudo penale, ho offerto lo scudo e mi è stato rifiutato e sono anche tornato a insistere. Ho chiesto se c’era disponibilità a riaprire il tavolo su questi presupposti. Ma nessuna nostra richiesta è stata accettata». Così il premier Giuseppe Conte. Domani aperto tavolo di crisi, e non si parla di “piani B”: la via più semplice è richiamare Mittal.

PATRON AM: «PRIORITA’ TAGLIO COSTI» – ArcelorMittal ha chiuso il terzo trimestre con vendite per 16,63 miliardi di dollari (15,01 miliardi di euro), lievemente al di sotto delle stime di 16,7 miliardi (15,07 mld euro) degli analisti. In aumento la perdita a 539 milioni (486,52 milioni euro) ma il margine operativo lordo a 1,06 miliardi (0,96 miliardi euro) ha superato le attese degli analisti, ferme a 943 milioni di dollari (851,9 milioni euro). Lo si legge in una nota in cui viene indicato un calo
della produzione di acciaio da 22,8 a 20,2 milioni di tonnellate.

PROSEGUE IL PRESIDIO – Prosegue il presidio di lavoratori davanti alla direzione dello stabilimento siderurgico ArcelorMittal di Taranto dopo la conferma della volontà di recesso del contratto da parte dell’azienda. Terminerà alle 15 lo sciopero di 24 ore proclamato dalla Fim, mentre domani alle 7 partirà uno sciopero sui tre turni indetto da Fiom e Uilm che avevano atteso l’esito dell’incontro tra governo e sindacati prima di intraprendere altre iniziative di mobilitazione.

SINDACATI INDOTTO PRONTI A BLOCCO ATTIVITA’ – L’auspicio è che governo e istituzioni creino le condizioni per una soluzione definitiva. Senza una risposta esaustiva, unitariamente alle confederazioni di Cgil, Cisl e Uil e al fianco dei colleghi degli altri settori del siderurgico, saremo pronti a tutte le iniziative fino al blocco a oltranza delle attività lavorative nei propri settori». Lo sottolineano i segretari di Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Fist Cisl, Uiltrasporti e Uiltucs Uil che rappresentano gli operai dell’indotto.

BOCCIA: SALVEREMO AZIENDA, NON ESCLUDO COMMISSARI – «Non sono sorpreso, lo sapevo che con loro sarebbe finita così e in politica non c’è cosa peggiore. E’ sempre la sintesi di un fallimento collettivo. Quando Michele Emiliano e io dicevamo che era un errore assegnare l’azienda a Mittal ci prendevano per matti, tutti dicevano che quella con ArcelorMittal era una grande operazione, mentre io da deputato e da pugliese ero stato l’unico in Parlamento a dire che la cordata Mittal non dava garanzie adeguate sulle prospettive industriali». Così, in un’intervista al Corriere della Sera, Francesco Boccia.
Per il ministro degli Affari regionali «se Mittal rispetta il contratto è benvenuta, se dice che ci sono 5.000 lavoratori di troppo ne pagherà le conseguenze. Non accetteremo ricatti. Salveremo Ilva con un’amministrazione straordinaria seria, fatta da manager eccellenti». E sull’ipotesi di un commissario straordinario afferma: «Non voglio scomodare Bondi sulla vicenda Parmalat, ma è una strada che non escludo assolutamente. L’Italia non può cedere al ricatto occupazionale e se il mercato non ce la fa, lo Stato ha il dovere di intervenire. Abbiamo salvato tanti siti industriali in Italia, salveremo anche Ilva».

«Non capisco – aggiunge Boccia – perché il governo dovrebbe cadere su una vicenda così chiara. Certo, si è partiti con il piede sbagliato. Se fosse stato sancito il principio che si continua a produrre acciaio con un percorso chiaro di decarbonizzazione, a certe condizioni di mercato, non staremmo in questa situazione, che è di una gravità inaudita». E sul possibile ritorno di Jindal afferma: «Sentir parlare adesso di questa ipotesi mi fa rabbrividire. Come Renzi sa quella cordata, che aveva dentro il gruppo Arvedi e un galantuomo come Del Vecchio, al quale nessuno ha chiesto scusa, offriva una prospettiva chiara e metteva insieme la centralità industriale e le ragioni dell’ambiente, indicando la strada della decarbonizzazione graduale. Ma la Repubblica in tutte le sue articolazioni scelse Mittal. ‘Hanno offerto 400 milioni in più’, mi dicevano in Parlamento. E io rispondevo che la salute dei tarantini non ha prezzo. Chi ha venduto a Mittal farebbe bene a rifugiarsi in un dignitoso silenzio».

TURCO: SPERO NON CI SIANO ALTRI OBIETTIVI – «Come è possibile che un’azienda di tale portata possa aver sbagliato così clamorosamente un Piano Industriale, grazie al quale si è aggiudicato una gara pubblica escludendo altri concorrenti? Spero che non siano stati perseguiti altri obiettivi sottesi». Lo afferma Lo afferma il senatore tarantino Mario Turco, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, sottolineando che «neghiamo in maniera assoluta che la decisione di disimpegno di ArcelorMittal sia legata al problema della tutela penale».

Turco aggiunge che «ArcelorMittal ha chiaramente dichiarato che il disimpegno è legato alla mancanza di sostenibilità economica dell’impianto siderurgico, e conseguentemente ha annunciato l’esubero di 5.000 unità lavorative, cosa che questo Governo non potrà mai accettare».
«Personalmente – prosegue il sottosegretario – ho sempre nutrito dubbi sulle previsioni troppo ottimistiche del piano industriale redatto da ArcelorMittal, che non considerava la congiuntura economica negativa, la guerra commerciale dei dazi, l’andamento del manifatturiero europeo e soprattutto le condizioni dell’impianto siderurgico, oltre che i connessi investimenti ambientali necessari di adeguamento».

Il sottosegretario rammenta che «Mittal per il 2018-23 prevedeva il raggiungimento di 6 milioni di tonnellate annue di produzione, contro una produzione effettiva realizzata nel 2018 e nel 2019 di poco superiore ai 4 milioni, il che ha comportato una perdita economica mensile superiore ai 60 milioni di euro».
«In merito a questi risultati estremamente negativi – evidenzia – nessuna responsabilità può attribuirsi all’attuale governo». «Il Governo, in attesa di un prossimo incontro con ArcelorMittal – conclude – si è impegnato comunque a tutelare investimenti, occupazione, bonifiche».

LA LUNGA GIORNATA A PALAZZO CHIGI – Trattativa tutta in salita tra governo e ArcelorMittal sull’ex Ilva. Un vertice di tre ore a Palazzo Chigi tra il premier Giuseppe Conte e Lakshmi Mittal, patron della multinazionale, e suo figlio Aditya, non risolve il complicatissimo rebus sullo stabilimento di Taranto. Ma il negoziato non è interrotto, e il governo corre ai ripari intervenendo già nel Consiglio dei ministri convocato in giornata e «monopolizzato» dal dossier Ilva. Con il premier alle prese con il nodo di un possibile decreto ad hoc. Nella misura si punterebbe a inserire quella norma interpretativa dell’art. 51 del codice penale che, di fatto, tutela dal punto di vista giuridico ArcelorMittal. Ma sul punto c’è il muro, sopratutto nei gruppi parlamentari, del M5S.

Le notizie, per tutta la giornata, sono frammentate. Bocche cucite e facce piuttosto scure si aggirano nei dintorni di Palazzo Chigi dopo la riunione con ArcelorMittal, alla quale Conte presenta anche i ministri Gualtieri, Patuanelli, Bellanova, Catalfo, Provenzano e Speranza. Un team che rappresenta tutto l’arco della maggioranza giallorosa. E il dato non è marginale visto che, sul salvataggio dell’ex Ilva, la maggioranza rischia di spaccarsi clamorosamente con il nocciolo duro pentastellato, capitanato da Barbara Lezzi, fermo nella sua contrarietà al ripristino dello scudo penale. Possibile che da Conte arrivi un forte richiamo alla responsabilità. Ma il rischio è che il decreto, o comunque la norma destinata a garantire l’immunità, venga votata da Pd, Italia Viva, Lega, FI e una parte del M5S con Leu che, nei giorni scorsi, pure si diceva scettica sullo scudo penale. A quel punto il governo si ritroverebbe con una maggioranza mutata, rischiando la crisi in un contesto già delicato e con Nicola Zingaretti che in una riunione al Nazareno in mattinata fa trapelare tutta l’insofferenza che si respira nei Dem per le sortite di Matteo Renzi e del M5S.

Conte, di fatto, lavora per l’intera giornata al dossier Ilva convocando, solo dopo il Cdm, una conferenza stampa per fare il punto della situazione. «Faremo di tutto per il rispetto degli impegni», assicura in mattinata il premier. Ma a Taranto, nel frattempo, è psicodramma. In mattinata arriva alle organizzazioni sindacali la lettera, già annunciata ieri dall’ad Lucia Morselli (assente al vertice di Palazzo Chigi), con la quale A.Mittal comunica la decisione di disdettare l’accordo e restituire chiavi e dipendenti all’Amministrazione straordinaria. Contemporaneamente viene depositato presso il Tribunale di Milano l’atto di citazione contro i Commissari Straordinari relativo alla rescissione del contratto.

La comunicazione provoca l’immediata reazione dei sindacati e della città di Taranto. In mattinata la Fim-Cisl dichiara uno sciopero immediato a Taranto di 24 ore a partire dalle 15 del pomeriggio. Uno sciopero che, riferisce la Fim-Cisl incassa un’alta adesione. Ma la mossa non è condivisa dalle altre sigle (Uilm, Fiom e Ubs) che, pur mantenendo lo stato di agitazione volevano attendere gli esiti del vertice a Palazzo Chigi. Il punto sul quale ArcelorMittal non vuole cedere è la «protezione legale», prevista dal Dl 2015/1 e confermata dal Dl del 3 settembre 2019. Protezione considerata dall’azienda «presupposto essenziale» al punto che «in mancanza, non avrebbe accettato di partecipare all’operazione» di ristrutturazione e rilancio dell’Ilva.

Ma il tema, per il governo è un altro. E’ la stessa sostenibilità della produzione da parte di A.Mittal, che – in relazione all’Altoforno 2 (sotto sequestro per la morte di un operaio nel 2015 ma in funzione e da ristrutturare come da Piano Ambientale), dovrebbe entro il 13 dicembre presentare la progettazione degli interventi ambientali e mirati alla sicurezza dei lavoratori. L’azienda, sostengono fonti di maggioranza, punta inoltre a 5mila unità. Un obiettivo che potrebbe costringere il governo a intervenire subito con la cassa integrazione.